Set
10
2014

IO SONO SAI BABA

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Cari amici, oggi propongo un altro capitolo del Libro: “Il Piccolo Sai Baba”.
Tuffiamoci in questo racconto del Divino Fanciullo!

lo compaio sotto una forma umana,
ma porto con Me la totalità dei poteri
e la Sapienza Suprema
altrimenti chi Mi ascolterebbe?
Baba

Sathya continuava ad essere molto strano. Spesso sembrava assumere un’altra personalità. Recitava dei versi e poemi sacri che andavano ben al di là della portata di qualunque ragazzino. A volte dimostrava la forza di dieci persone, altre volte era fragile come un fiore. Faceva arrossire alcuni adulti, discutendo sulla correttezza del loro comportamento, delle loro abitudini e dei loro pensieri. Ricordava loro: “Come si pensa così si diventa”, quindi indirizzate la vostra mente solo al bene.
Tutto ciò che di impuro entra attraverso gli occhi, le orecchie e la bocca, si imprime nella nostra mente, sporcandola. Come un pesce fritto, avvolto in una carta, lascia il suo sgradevole odore sulla carta che si è macchiata d’unto, così la vostra mente si imbratta delle cose impure con le quali venite a contatto con i vostri sensi. Per questo:

Non guardate il male: guardate solo il bene.
Non ascoltate il male: ascoltate solo il bene.
Non parlate del male: parlate solo del bene.
Non pensate al male: pensate solo al bene.
Non fate il male: fate solo del bene.
Questa è la strada che conduce a Dio.

Qualche amico di famiglia consigliò di portare il Ragazzo da un bravo medico fitoterapista.
Il carro trainato dai buoi era di nuovo pronto per un altro viaggio. Sathya, in trance, fu steso sul carro. Lungo il tragitto si svegliò, ma questa volta aveva deciso di non tenere più a lungo nell’incertezza i genitori; perciò disse subito: “Non sono d’accordo con voi di fare altre cure. Io vado a casa”.
Immediatamente i buoi girarono i “loro tacchi” e trottarono verso casa. E’ naturale, per gli animali, obbedire agli ordini del Signore, il Pastore delle mandrie. Mentre gli uomini non seppero riconoscere in Lui ciò che veramente era, gli animali, dotati di sensibilità istintiva, percepirono la Sua Divinità e si sottomisero al Suo Volere.

Un avvocato di Penukonda, amico di famiglia, aveva detto a Venkappa che per il “tormento da spiriti maligni” non esisteva migliore cura che la venerazione al Dio Narashima (Avatar mezzo uomo e mezzo leone), nel Suo tempio di Ghatikachalam. Sathya sorridendo ribattè: “Quel che dice è buffo. Dovrei andare proprio nel tempio dove Io sono venerato! Volete portare Me da Me!”.
L’avvocato pensò di trovarsi davanti ad un fanatico presuntuoso, ma il Padre guardò Sathya con meraviglia. Questa dichiarazione gli fece ricordare che già una volta, il Suo Figlioletto, era apparso come il Dio-Leone, facendo spaventare tutti i presenti.
“Che questo figlio con la testa rapata sia davvero Narashima, il Signore dalla criniera leonina?”, si chiese.
L’episodio che si riaffacciò alla mente di Venkappa, non fu però sufficiente ad illuminarlo. Comunque il Padre disse all’amico avvocato che non c’era più bisogno di cercare cure per il Ragazzo. La scuola di Uravakonda era ormai chiusa per le vacanze estive, c’era, quindi, tutto il tempo perché Sathya tornasse alla normalità prima dell’inizio dell’anno scolastico.

Il 23 maggio del 1940 Sathya compì tredici anni e mezzo, essendo nato il ventitré novembre.
Quel giorno era allegro e vivace. Radunò i familiari ed i vicini di casa attorno a Sé. Poiché era particolarmente di buon umore, nessuno pensò agli spiriti maligni che, come si supponeva, Lo invasavano.
Le mani Gli si colmavano di dolci squisiti ogni volta che le faceva oscillare ed Egli li distribuiva a tutti i presenti. Tra le dita Gli spuntarono anche dei fiori freschi e profumati e delle polpette di riso cotto nel latte, condite con il miele. Tutti accettarono con grande gioia reverenziale quei sacri doni. Ma mentre le persone estranee alla famiglia erano tutte contente, il padre di Sathya, che si trovava fuori casa, andò su tutte le furie quando gli venne detto ciò che stava accadendo. In quel momento sembrava lui Narashima! Voleva mettere fine a quelle stranezze, a quei giochi di prestigio.

La grande folla che trovò davanti casa lo esasperò ancora di più, e ancora di più si irritò quando qualcuno gli disse di lavarsi mani piedi e faccia, prima di accostarsi al Divino Largitore di doni.
“No! Darò una bella lavata di capo al Ragazzo – brontolò – oggi tutto questo deve finire!”.
Prese un bastone, lo sollevò contro Sathya e Gli gridò: “Chi pensi dunque di essere? Rispondimi, o Ti spacco la testa: sei Tu un Dio, un fantasma o un pazzo?”.
L’atmosfera carica di tensione stava ad indicare che era giunto il magico momento di una rivelazione. Tutti gli occhi erano fissi sulle labbra di Sathya, il Quale, seduto tranquillamente, con voce dolcissima disse: “Volete sapere chi sono? Ebbene, IO SONO SAI BABA.
“Sai Baba”: eccolo il nome cantato per anni nei Bhajan da Lui stesso composti, in uno stile tutto Suo!
Venkappa Raju ammutolì esterrefatto. Il bastone gli cadde dalle mani. Poi Sathya continuò: “Sono venuto per mettere fine a tutti i vostri guai. Cercate di tenere pulite le vostre case, così come il vostro cuore, dove Io porrò la Mia dimora e vi proteggerò”.

Il fratello Seshama Raju Gli si avvicinò e Gli chiese: “Che cosa intendi dire per Sai Baba?”.
A questa domanda Sathya non rispose, ma si limitò ad aggiungere: “Io sono venuto perché il vostro antenato Venka Avadhoota ed altri santi, Mi hanno a lungo implorato per la Mia venuta, affinché il mondo fosse redento”.

Poiché “Baba” sembrava essere un nome musulmano, il Padre, esterrefatto, pensò che Sai Baba fosse uno spirito musulmano che parlava per mezzo del Figlio e perciò chiese: “Come dobbiamo comportarci con Te?”.
Pronta fu la risposta: “Venerarmi! Dedicate a Me il tradizionale rito del giovedì”. Il giovedì, infatti, è per gli Indù il giorno dedicato alla preghiera.
Ma c’era un problema che assillava la famiglia e gli altri abitanti del villaggio: “Chi era questo Sai Baba?”.

Written by amaeguarisci in: Articoli |

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