Set
01
2014

IL PICCOLO SAI BABA – L’ESORCISTA STREGONE

copertina IL PICCOLO SAI BABA
Ciao ragazzi! oggi riprendo le pubblicazioni, dopo la pausa estiva.
Vi propongo questo capitolo, tratto dal libro da me scritto: “Il Piccolo Si Baba” (Mother Sai Publications). che narra di come il Piccolo Sai superò le torture alle quali fu sottoposto, dando evidente prova della Sua Divinità. Il tempo era giunto per risvegliare la coscienza dei Suoi familiari sulla Sua Natura Divina. Tuffiamoci in questo racconto, con un pò di distacco emotivo, per non piangere. Vi abbraccio!

lo sono sempre in beatitudine.
lo sono l’Incarnazione della Beatitudine
Venite, prendete la beatitudine da Me,
e siate in pace.
Baba

Un carro trainato dai buoi fu fatto venire per trasportare il gruppo famigliare al paese di quel rinomato esorcista.
Ma i buoi non intendevano assolutamente muoversi! Venkappa Raju non era, però, disposto ad arrendersi. Sathya aveva provocato l’allontanamento degli altri esorcisti, solo per dare ai Suoi genitori indizi su indizi della Sua Divinità. E adesso bloccava i buoi, per dare a loro un’altra possibilità. Ma visto che non c’è cieco peggiore di chi non vuol vedere, portò avanti la commedia accettando la volontà dei genitori. Disse ai buoi: “Va bene, muovetevi”. Immediatamente il carro si mosse, ma neanche allora i genitori, benché avessero intuito che il carro era stato mosso dalla volontà del Figlioletto, seppero afferrare la Realtà di Sathya. Egli continuò ad operare portenti per dar loro l’occasione di cambiare spontaneamente idea; ma essi continuarono a non voler capire.

Finalmente arrivarono. La sola vista di quell’esorcista incuteva terrore. Era enorme e sembrava un orco. I suoi occhi fiammeggiavano come tizzoni ardenti.
Nella sua ostinazione a non voler capire, Venkappa consegnò il Figlio Prediletto al terribile mostro.
Questi iniziò a scongiurare il demonio, recitando tutte le formule magiche con una voce gracchiante che faceva raggelare il sangue.
Nonostante le ripetute cantilene, non sembrava, però, che lo spirito ne fosse turbato.
Questa volta Sathya non scacciò I’esorcista. Aveva infatti deciso di mostrare al mondo la Sua Infinita Pazienza Divina, assoggettandosi a tutte le atroci torture che quel folle volle infliggerGli.

Egli iniziò a frustare il Ragazzo. I genitori erano inebetiti dal dolore, ma Sathya superò il terribile trattamento senza un lamento. L’esorcista, testimone della sovrumana compostezza del Ragazzino, continuò ancora più inferocito ad inveire su quell’Esile Corpo, senza distinguere fra il diabolico e il divino.
“Basta! Basta! Per carità!”, supplicò Iswaramma che non sopportava la scena. Ma lo stregone, nella sua ostinazione e nel suo orgoglio, voleva vincere a tutti i costi la battaglia contro lo spirito maligno.
“Non posso abbandonare il Ragazzo, è un problema fra me e lo spirito!”.
I famigliari, impotenti, rimasero a guardare ammutoliti.

L’esorcista Gli rase i capelli; poi, con uno scalpello, incise una “X” su quel capo ancora tenero, trattandolo come se fosse stato di pietra.
Venkappa tremò e chiuse gli occhi, incapace di sostenere quella visione. Il tormento della Madre era indescrivibile. Sathya, Oceano Infinito di Maestosa Serenità, rimase immobile, assolutamente tranquillo.
L’aguzzino manovrò ancora lo scalpello sul Suo cranio e vi incise altre due “X”.
Sathya sembrava la Pazienza Impersonificata. Il sangue sgorgò a fiotti dalle tre incisioni. Lo stregone, dopo aver asciugato le ferite, vi versò una sostanza caustica a base di calce, succhi acidi e sale.
Mentre i genitori piangevano, Sathya continuò a mantenersi perfettamente calmo. L’esorcista cominciava a perdere la sua sicurezza, ma cercò di nascondere abilmente il fallimento dei suoi sforzi. “Ora sarà sufficiente versarGli sul capo, ogni mattina, per una settimana, centootto brocche di acqua fredda”.
I genitori pensarono: “Perché una settimana? Non basterebbe un solo giorno di trattamento così terribile sulle ferite fresche?”. Ma, impauriti, non si permisero di aprir bocca.
Sathya, che più non aveva i Suoi morbidi riccioli, si “godette” una settimana di docce fredde sulla testa.

Anche alla fine di questa cura, lo spirito maligno non se ne era andato. L’arsenale dello stregone era ormai agli sgoccioli. Questi era sempre più furente, perché il demone si prendeva gioco di lui. Allora lo stregone percosse il Ragazzo alle giunture con un pesante bastone, per snidare quella che definiva “la febbre del cervo”, quando Sathya si muoveva e “la febbre della pietra”, quando stava fermo.
Infine decise di usare la sua arma strategica. Se c’è una scienza della tortura, la sua migliore trovata è senza dubbio una pomata cauterizzante chiamata kalikam: una mistura di tutti gli “abracadabra” acidi del repertorio della tortura.
L’applicò sugli occhi di Sathya. I genitori inorridirono nell’osservarne le conseguenze: il viso e la testa si gonfiarono. Quel Volto Incantevole divenne irriconoscibile, rosso al punto che la sensazione di calore poteva essere percepita anche da chi Gli si avvicinava.
Tremante in tutte le membra, Sathya versava torrenti di lacrime, ma neppure un lamento uscì dalle Sue labbra.
Può darsi che per Sathya sia stata una commedia, ma per i Suoi parenti fu una tragedia. Non reggevano più alla vista del Caro Volto cosi tumefatto.

“Il demone, ora, non può più sfuggire ai miei artigli. Non preoccupatevi più.”, disse lo stregone e usci.
L’angoscia di Iswaramma esplose in singhiozzi, mentre gemeva: “Mio caro Sathya! Noi stessi siamo diventati i Tuoi carnefici!”. Il padre, in lacrime, annuiva.
Sathya, incurante del dolore, non riuscì a sopportare la sofferenza di quelle due anime tormentate dal senso di colpa. Sollevando la mano in un gesto di conforto disse: “Non piangete! Vi prego non piangete!”. Poi disse loro di portarGli il succo di un’erba che cresce vicino ai mucchi di letame.
Qui continua la commedia. Perché l’estratto di erbe quando sarebbe bastato un atto della Sua Volontà per mandare ad effetto la Sua guarigione?
Sathya si spalmò il rimedio sugli occhi: subito le palpebre si aprirono ed il gonfiore sparì, per incanto, immediatamente. I genitori trassero un profondo sospiro di sollievo.

Lo stregone era fuori di sé per l’ingerenza nel normale corso della “sua terapia”. Scalpitò e andò su tutte le furie come un animale selvaggio che si è lasciato sfuggire la preda. “Ero a un centimetro da traguardo!”, ruggì.
I genitori volevano salvare Sathya dalle fauci di quel demone; avevano visto e sofferto abbastanza. Lo compensarono lautamente, gli fecero anche dei regali non richiesti, purché la “belva” li lasciasse tornare a casa.
Così la spuntarono! Il carro si allontanò da quella “casa degli orrori” e raggiunsero Puttaparthi.

Written by amaeguarisci in: Senza categoria |

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