Set
30
2014
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MEETING : L’ORIENTE INCONTRA L’OCCIDENTE- ASSISI 26/28 sett. 2014 – Intervento di Italia Rizzo sul tema: RISVEGLIO SPIRITUALE E GUARIGIONE

2014-02-17 15.08.27 (2)

Cari amici,
Si è svolto ad Assisi, come tutti gli anni, lo splendido meeting organizzato dalla fondazione: “Il Mandir della Pace”, dal titolo: “L’Oriente incontra l’Occidente”. Come sempre, ci sono stati moltissimi interventi interessantissimi, riguardanti: Spiritualità e ben-essere; etnoscienze; uomo natura e ambiente; etica, economia e valori umani.
Sono stata invitata dalla Dottoressa Maria Gabriella Lavorgna a condividere la mia esperienza di guarigione.
Quello che segue è il testo della mia relazione.
Mio marito ha registrato un video con il tablet, che ho poi messo su youtube.
PER GUARDARE IL VIDEO SU YOUTUBE DIGITARE SOTTO.

In caso di errore di collegamento, collegarsi su youtube e digitare: “RISVEGLIO SPIRITUALE E GUARIGIONE ITALIA RIZZO”.

VI ABBRACCIO TUTTI!

Oggi condivido con voi alcune riflessioni sul rapporto fra risveglio spirituale e salute. Poiché ognuno di noi può trasmettere solo ciò che gli appartiene, parlerò partendo dalla mia esperienza personale.
Sono stata malata per molti anni della mia vita. Non sto, ora, a spiegarvi i dettagli perché sarebbe lunghissima la storia; vi dico solo che per un avvelenamento da farmaci avevo intossicato il midollo allungato, quindi il sistema nervoso centrale da cui partono tutti i messaggi per il corpo.
Avevo come tanti fili arrugginiti che mandavano messaggi sbagliati a tutte le ghiandole e a tutti gli organi. I sintomi erano come quelli del tumore al cervello.
Trascorsi quattro mesi a letto immobile, perché sia la tiroide , sia le surrenali non funzionavano più. Il mio corpo era come una macchina parcheggiata in garage, alla quale era stata tolta la batteria e , quindi, non poteva mettersi in moto.
Dio mi mandò un angelo, un medico olistico che impedì agli altri medici di uccidermi con ulteriori medicine. Si chiamava Angelo Franchina, ora, purtroppo, ci ha lasciati. Fu lui il mio trampolino di lancio verso la metamorfosi da bruco a farfalla.
Sono stata più volte vicino alla morte. Il mio corpo era come una candela ormai consumata che pian piano si spegne. In quei momenti vedevo alcune sfere di luce colorate nel soffitto; ora so che erano gli angeli che intervenivano per mantenermi in vita, perché il mio compito non era ancora finito su questa terra. Certamente Dio stava anche rispondendo alle mie accorate preghiere; non volevo lasciare due bambini orfani.
Feci un digiuno per disintossicarmi: 12 giorni con sola acqua e una settimana con centrifugati di frutta e verdura. Incominciai così, piano piano, a rimettermi seduta, e poi in piedi e a fare i primi passi.
Ero morta e rinata anima e corpo. Come un bimbo di un anno avevo imparato nuovamente a camminare e a nutrirmi con creme di cereali e verdure. Ripresi a mangiare solo cibo vegetariano.
La mia immobilizzazione a letto fu il periodo della “ crisalide”. Dentro di me avvenne una drastica trasformazione: mi ero spogliata di ogni tipo di maschera, per emergere nella mia vera identità. L’amore per Dio esplose nel mio cuore impetuoso come un fiume in piena, travolgente e continuo.
Fu allora che dipinsi il mio Maestro Spirituale: Sai Baba, senza nemmeno conoscerlo. Da allora iniziò a darmi segni tangibili della Sua presenza ed iniziò un periodo fantastico della mia vita. Comunque la storia è lunga, per chi volesse saperne di più , c’è la possibilità di scaricare gratis il primo libro che ho scritto (IL MIO RISVEGLIO – Una storia vera con Sai Baba).
La devozione mi portò gradatamente all’abbandono alla volontà di Dio.
Più pensavo a Dio e più mi dimenticavo della mia malattia, e questo fu un fattore importante per riacquistare la salute. Iniziai tutto un processo di auto guarigione stando molte ore del giorno sdraiata per terra, sotto gli alberi. Imparai a nutrirmi di aria, di sole, di terra, di alberi, di rocce, di visualizzazioni bellissime, di sorrisi, di pensieri positivi, di amore per tutto e per tutti. Questo processo durò degli anni, durante i quali mi si schiuse il mondo sottile dell’energia. Fu un periodo di ascetismo per me, ero ancora troppo debole per andarmene in giro. Sento di aver vissuto tre vite in una: quella prima del precipizio fisico, quella magica dell’ascetismo e del ricordo delle leggi sottili dell’universo e quella attuale, che mi permette di vivere spensierata il momento presente, libera e leggera. Molto spesso mi sento una bambina.
Con il corpo mentale ed emotivo sempre in alto, negli anni ho costretto il corpo fisico a seguirmi.
Si sa che la malattia appare prima nei corpi sottili per poi giungere, dopo tempo, all’involucro fisico. Allo stesso modo, la guarigione deve necessariamente avvenire prima nei corpi sottili, prima di raggiungere quello fisico.
In quegli anni ebbi l’opportunità di guardare tutta l’immondizia psicologica ed emotiva, tutti gli shock, tutti i traumi che mi trascinavo e che avevo ben nascosto dentro me, tutti i pensieri inconsci antivitali che avevo ereditato. Tutto emergeva da sé e tutto offrivo a Dio.
Ripetere il Suo Santo Nome, pensare a Lui, con gioia e gratitudine è stato come far gocciolare di continuo acqua pulita in un secchio di acqua sporca: alla fine vi è rimasta solo acqua pulita e fresca. Gli esercizi spirituali puliscono e guariscono anche ciò di cui ignoriamo l’esistenza, perché conosciamo solo la punta dell’iceberg di noi stessi.
In quel periodo ero come un serpente che ha appena cambiato la pelle, ma ancora non ha quella nuova. Sentivo nel mio corpo tutto ciò che avveniva all’esterno di me: I dolori degli altri, i terremoti, le energie forti che si scaricavano, o si dovevano ancora scaricare sul pianeta. Iniziai a vedere a distanza chi parlava di me con sentimenti non belli, a percepire la potenza della forza del pensiero. Insomma, in quegli anni ebbi l’opportunità di fare un corso intensivo, dove la materia di studio ero io stessa e tutto il creato, al quale ormai sentivo di essere connessa.
Ho avuto opportunità di fare tutta una serie di esperienze pratiche prima di studiare la teoria sui libri, che la Grazia Divina, poi, mi mandava per spiegarmi cosa stava succedendo dentro di me.
Così, le parole del Maestro, che studiai con tanta fame, furono per me talmente ovvie da non poterne mai dubitare: erano la mia stessa esperienza.
La gioia più grande era derivata dallo scoprire che l’Avatar, cioè il Signore, era ancora in mezzo a noi e ci riproponeva gli stessi insegnamenti e gli stessi miracoli di Gesù e delle altre Incarnazioni Divine. Avevo con Lui un appuntamento in questa vita; Lo riconobbi al solo udire il Suo Santo Nome e piansi di profonda commozione e gratitudine, anche se la mente ancora non sapeva Chi fosse quell’Essere del Quale una mia amica aveva appena menzionato il Nome, Quel Nome che mi commuoveva alle lacrime.
Di anno in anno sperimentai la potenza delle visualizzazioni.
Quando ero immobile mi vedevo correre, nuotare, arrampicarmi su per una montagna e saltare di gioia, con le braccia in alto come chi ha appena fatto goal. In seguito feci tutto ciò che visualizzavo.
Quando riuscii a camminare, ad ogni passo ripetevo come un mantra: “Sono sana! Sono Forte! Sono una scintilla Divina!” Dovevo sostituire un vecchio e antivitale pensiero di debolezza e malattia con un nuovo disco, da ripetere così tante volte fino ad inciderlo nell’inconscio. Non permettevo mai alla mente di cascare nell’abisso della disperazione, anche se i malesseri durarono diversi anni (anche perché nel frattempo si era manifestata anche una malattia genetica ai muscoli, che finché non arrivai al precipizio era rimasta latente).
Ormai avevo ben chiaro che le malattie sono opportunità e non disgrazie. Il corpo ci avvisa quando siamo pronti a ricordare il compito per il quale siamo scesi e invece andiamo da un’altra parte. La malattia ci costringe a rimetterci sulla strada maestra, ci costringe a riscoprire chi siamo, a prendere atto che tutto è in noi: la capacità di ammalarci, di precipitare in un baratro e la capacità di risalire.
E qual è la forza più potente, la medicina più rapida per risalire?
L’AMORE! Si! Ho avuto modo di sperimentare che siamo tutti uno, che rimandando al mittente sentimenti di rabbia o biasimo, non solo facciamo del male a colui a cui sono destinati, ma facciamo doppiamente male a noi stessi, quando il boomerang che abbiamo lanciato ci ritorna.
La consapevolezza che ogni persona fa del proprio meglio in base al proprio livello spirituale, mi ha aiutata a sviluppare ancor più la tolleranza, la pazienza, il perdono, la misericordia e l’amore senza se e senza ma, perché ognuno fa il meglio che può fare, sempre, ed è al posto giusto al momento giusto.
Ho ricordato che il nostro stesso Sé Divino decide, prima della nostra nascita, il luogo, i genitori e le prove per esprimere sempre più la Divinità in noi.
Le esperienze fatte quando ancora, come il serpente, non avevo la nuova pelle, mi hanno insegnato che davvero non c’è separazione fra me e gli altri, che davvero tutto è Uno, tutto è Dio, come sempre Sai Baba ci ha ricordato; che siamo tutti cellule del corpo di Dio e se il mignolo è schiacciato, tutto il corpo soffre. La gioia degli altri è la nostra stessa gioia, il dolore degli altri è il nostro dolore. Se ci vogliamo bene dobbiamo necessariamente far di tutto per lenire le sofferenze altrui. Il servizio che facciamo agli altri è servizio a noi stessi, è servizio a Dio.
La malattia ci purifica, toglie quello strato di polvere che l’ignoranza aveva depositato sopra la nostra lampadina, toglie la ruggine intorno al cuore. Per questo poi, siamo attratti, come pezzi di ferro lucidi e puliti, dalla più potente calamita, cioè Dio!
Possiamo paragonare la malattia e le altre dure prove della vita anche a tante martellate date allo strato di roccia che ricopre il cuore. A volte basta un’ultima martellata e ciò che impediva al cuore di espandersi, si sgretola, anche in una sola notte.
Allora cosa proviamo da quell’istante? Una voglia immensa di abbracciare tutti, un amore che va oltre ogni ragione. Perché non ci deve essere un motivo per amare. L’amore è la nostra natura! L’amore siamo noi! Baba ci chiamava: “Premaswarupalara”, che in sanscrito significa: “Incarnazioni del Divino Amore”. Siamo questo noi! L’abbiamo dimenticato! E siamo anche “Anandaswarupalara” cioè Incarnazione della Beatitudine. La Gioia e l’amore sono la nostra vera natura: quella Divina. Il Signore scende per innalzarci tutti al Suo Rango, per ricordarci che siamo tutti principi eredi al trono, non miserabili.
Quando con le prove della vita, e con gli esercizi spirituali diamo l’ultima martellata… allora emerge tutto il meglio di noi, tutta la nostra potenza.
Io mi sono ritrovata come una che sta su una sedia a rotelle e che, cadendo, si rialza e si accorge che non ha più bisogno né di sedia né di stampelle, perché Dio è dentro di noi.
Ora abbiamo anche la fisica quantistica ad avallare gli insegnamenti dei maestri e dei mistici. Sappiamo che ciò che chiamiamo miracolo è ciò che ancora non conosciamo delle leggi dell’universo.
Gli avatar scendono per ricordarci queste leggi, per restituirci il “libretto di istruzioni” di questa macchina meravigliosa che è il nostro corpo.
Noi siamo come i bambini piccoli che ancora non sanno camminare, o andare in bicicletta o parlare, ma seguendo ed imitando la Madre, cioè il Maestro sceso per noi, impareremo un giorno a fare ciò che lei fa.
Allora che rapporto c’è fra risveglio spirituale e guarigione?
La malattia viene per aiutarci a ricordare il nostro progetto di vita, quando andiamo fuori strada, quando siamo abbastanza cresciuti per poterlo ricordare: La malattia viene per risvegliarci, ed una volta risvegliati riscopriamo le potenzialità in noi per recuperare la salute. Infatti, quando abbiamo capito, quando abbiamo imparato, la malattia non ci serve più , ha già fatto il suo compito di maestra.
Allora, cari fratelli, più accettiamo le dure prove della vita più impariamo da esse, e meno ci servono.
Abbiamo la via breve e la via lunga per imparare. Quella lunga è ripetere gli stessi errori più e più volte, finché, sfiniti non ce la facciamo più: solo allora abbandoniamo la nostra ottusità e chiediamo aiuto a Dio; quella breve è quella di seguire gli insegnamenti dei maestri spirituali, degli Avatar, scesi per infinito Amore apposta per noi. Possiamo così evitare il precipizio più profondo.
Ormai l’atteggiamento vittimistico del chiedersi: “Perché proprio a me? ”, è obsoleto. Le nuove scoperte scientifiche sul microcosmo ,che ci riportano ai Veda, ci insegnano che tutto ciò che ci accade l’abbiamo attirato noi , con i nostri pensieri, le nostre paure, i nostri sentimenti, le nostre parole, le nostre azioni… con tutto il nostro essere, in questa vita o in quelle pre4cedenti. Basta incolpare qualcuno o qualcosa di estraneo a noi! Gli altri sono messi lì, come pedine nel gioco degli scacchi, per insegnarci ciò che ancora dobbiamo imparare; sono strumenti di Dio, anche e soprattutto quelli che ci indicano i nostri punti deboli: i nostri quattro in matematica o in pazienza, o in generosità, o in capacità di perdonare, o in autostima o in fiducia di sé. Ognuno di noi ha le proprie materie da riparare.
Amici… finché non impariamo ad amarci, ad amare il Divino in noi, finchè siamo duri, ed ipercritici con noi, lo saremo sempre anche con gli altri.
Anche noi , nel nostro passato abbiamo fatto il meglio che siamo riusciti a fare. La misericordia deve essere verso tutte le creature, iniziando da noi stessi.
C’è un modo per agevolare il nostro processo di rimembranza (parlo di rimembranza perché in noi c’è già tutto; evoluzione significa ricordare sempre più chi siamo e manifestarlo) . Affidiamoci al Signore, nella forma a noi più cara, Lasciamo a Lui l’onere di portare i nostri bagagli. Egli è come un treno: se decidiamo di salirci possiamo permetterci di stare seduti comodamente e mettere la valigia nel portabagagli. Ma, dice Sai Baba, noi facciamo come quelli che vogliono salire sul treno, ma poi se ne stanno in piedi sul corridoio e con la valigia in mano.
Molti snobbano la devozione, ma ha un potere infinito! Il potere di legare Dio a Noi: Dio si fa schiavo della devozione di un cuore puro! La devozione porta alla sapienza, perché tutto fa emergere dal nostro Sé che è onnisciente.
L’amore totale per Dio, che significa per tutto e per tutti, l’abbandono alla Sua volontà, sapendo che ogni cosa che accade è per il nostro bene maggiore, ci porta alla Sue altezze. Quando la devozione è così forte, Dio, come un’aquila reale o un cavallo alato, ci porta in groppa, nei Suoi alti cieli, dove si può esprimere solo il Puro Amore !
VI ABBRACCIO TUTTI!

Written by amaeguarisci in: Articoli |
Set
10
2014
-

IO SONO SAI BABA

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Cari amici, oggi propongo un altro capitolo del Libro: “Il Piccolo Sai Baba”.
Tuffiamoci in questo racconto del Divino Fanciullo!

lo compaio sotto una forma umana,
ma porto con Me la totalità dei poteri
e la Sapienza Suprema
altrimenti chi Mi ascolterebbe?
Baba

Sathya continuava ad essere molto strano. Spesso sembrava assumere un’altra personalità. Recitava dei versi e poemi sacri che andavano ben al di là della portata di qualunque ragazzino. A volte dimostrava la forza di dieci persone, altre volte era fragile come un fiore. Faceva arrossire alcuni adulti, discutendo sulla correttezza del loro comportamento, delle loro abitudini e dei loro pensieri. Ricordava loro: “Come si pensa così si diventa”, quindi indirizzate la vostra mente solo al bene.
Tutto ciò che di impuro entra attraverso gli occhi, le orecchie e la bocca, si imprime nella nostra mente, sporcandola. Come un pesce fritto, avvolto in una carta, lascia il suo sgradevole odore sulla carta che si è macchiata d’unto, così la vostra mente si imbratta delle cose impure con le quali venite a contatto con i vostri sensi. Per questo:

Non guardate il male: guardate solo il bene.
Non ascoltate il male: ascoltate solo il bene.
Non parlate del male: parlate solo del bene.
Non pensate al male: pensate solo al bene.
Non fate il male: fate solo del bene.
Questa è la strada che conduce a Dio.

Qualche amico di famiglia consigliò di portare il Ragazzo da un bravo medico fitoterapista.
Il carro trainato dai buoi era di nuovo pronto per un altro viaggio. Sathya, in trance, fu steso sul carro. Lungo il tragitto si svegliò, ma questa volta aveva deciso di non tenere più a lungo nell’incertezza i genitori; perciò disse subito: “Non sono d’accordo con voi di fare altre cure. Io vado a casa”.
Immediatamente i buoi girarono i “loro tacchi” e trottarono verso casa. E’ naturale, per gli animali, obbedire agli ordini del Signore, il Pastore delle mandrie. Mentre gli uomini non seppero riconoscere in Lui ciò che veramente era, gli animali, dotati di sensibilità istintiva, percepirono la Sua Divinità e si sottomisero al Suo Volere.

Un avvocato di Penukonda, amico di famiglia, aveva detto a Venkappa che per il “tormento da spiriti maligni” non esisteva migliore cura che la venerazione al Dio Narashima (Avatar mezzo uomo e mezzo leone), nel Suo tempio di Ghatikachalam. Sathya sorridendo ribattè: “Quel che dice è buffo. Dovrei andare proprio nel tempio dove Io sono venerato! Volete portare Me da Me!”.
L’avvocato pensò di trovarsi davanti ad un fanatico presuntuoso, ma il Padre guardò Sathya con meraviglia. Questa dichiarazione gli fece ricordare che già una volta, il Suo Figlioletto, era apparso come il Dio-Leone, facendo spaventare tutti i presenti.
“Che questo figlio con la testa rapata sia davvero Narashima, il Signore dalla criniera leonina?”, si chiese.
L’episodio che si riaffacciò alla mente di Venkappa, non fu però sufficiente ad illuminarlo. Comunque il Padre disse all’amico avvocato che non c’era più bisogno di cercare cure per il Ragazzo. La scuola di Uravakonda era ormai chiusa per le vacanze estive, c’era, quindi, tutto il tempo perché Sathya tornasse alla normalità prima dell’inizio dell’anno scolastico.

Il 23 maggio del 1940 Sathya compì tredici anni e mezzo, essendo nato il ventitré novembre.
Quel giorno era allegro e vivace. Radunò i familiari ed i vicini di casa attorno a Sé. Poiché era particolarmente di buon umore, nessuno pensò agli spiriti maligni che, come si supponeva, Lo invasavano.
Le mani Gli si colmavano di dolci squisiti ogni volta che le faceva oscillare ed Egli li distribuiva a tutti i presenti. Tra le dita Gli spuntarono anche dei fiori freschi e profumati e delle polpette di riso cotto nel latte, condite con il miele. Tutti accettarono con grande gioia reverenziale quei sacri doni. Ma mentre le persone estranee alla famiglia erano tutte contente, il padre di Sathya, che si trovava fuori casa, andò su tutte le furie quando gli venne detto ciò che stava accadendo. In quel momento sembrava lui Narashima! Voleva mettere fine a quelle stranezze, a quei giochi di prestigio.

La grande folla che trovò davanti casa lo esasperò ancora di più, e ancora di più si irritò quando qualcuno gli disse di lavarsi mani piedi e faccia, prima di accostarsi al Divino Largitore di doni.
“No! Darò una bella lavata di capo al Ragazzo – brontolò – oggi tutto questo deve finire!”.
Prese un bastone, lo sollevò contro Sathya e Gli gridò: “Chi pensi dunque di essere? Rispondimi, o Ti spacco la testa: sei Tu un Dio, un fantasma o un pazzo?”.
L’atmosfera carica di tensione stava ad indicare che era giunto il magico momento di una rivelazione. Tutti gli occhi erano fissi sulle labbra di Sathya, il Quale, seduto tranquillamente, con voce dolcissima disse: “Volete sapere chi sono? Ebbene, IO SONO SAI BABA.
“Sai Baba”: eccolo il nome cantato per anni nei Bhajan da Lui stesso composti, in uno stile tutto Suo!
Venkappa Raju ammutolì esterrefatto. Il bastone gli cadde dalle mani. Poi Sathya continuò: “Sono venuto per mettere fine a tutti i vostri guai. Cercate di tenere pulite le vostre case, così come il vostro cuore, dove Io porrò la Mia dimora e vi proteggerò”.

Il fratello Seshama Raju Gli si avvicinò e Gli chiese: “Che cosa intendi dire per Sai Baba?”.
A questa domanda Sathya non rispose, ma si limitò ad aggiungere: “Io sono venuto perché il vostro antenato Venka Avadhoota ed altri santi, Mi hanno a lungo implorato per la Mia venuta, affinché il mondo fosse redento”.

Poiché “Baba” sembrava essere un nome musulmano, il Padre, esterrefatto, pensò che Sai Baba fosse uno spirito musulmano che parlava per mezzo del Figlio e perciò chiese: “Come dobbiamo comportarci con Te?”.
Pronta fu la risposta: “Venerarmi! Dedicate a Me il tradizionale rito del giovedì”. Il giovedì, infatti, è per gli Indù il giorno dedicato alla preghiera.
Ma c’era un problema che assillava la famiglia e gli altri abitanti del villaggio: “Chi era questo Sai Baba?”.

Written by amaeguarisci in: Articoli |
Set
05
2014
6

SAI BABA PARLA DELLA RIPETIZIONE DEL NOME DI DIO IN UNA LETTERA AI SUOI STUDENTI

il mio dipinto di baba ad olio - il primo

Cari amici, diverse volte ho parlato del potere della ripetizione del nome di Dio. Oggi condivido con voi questa splendida lettera di Sai Baba ai Suoi studenti.
Immergiamoci nelle Sue Divine Parole!

“Accettate le mie benedizioni ed il mio Amore.
Ho ricevuto tutte le vostre lettere. Sono molto felice. Un punto fondamentale che voi dovete tenere a mente mentre ripetete il nome di Sai, ossia quando comprendete quel Nome, è che dovete sentire che è solo per il Suo Volere e la Sua Potenza che lo state facendo, e non per vostra scelta. Se nello stesso istante in cui inizierete la vostra sadhana (disciplina spirituale) sentirete che state facendo tutto per Volontà e Potere Divini, il vostro progresso sarà facile.
Vi sono delle persone che fanno japa (ripetizione del nome) e sono orgogliose del fatto di farla. Esse pensano di essere superiori agli altri. Ciò è molto pericoloso. Gli aspiranti spirituali devono rimuovere l’egoismo di questa natura. Sviluppando il sentimento di essere più puri di altri mancherete il vostro obiettivo.
Il Nome di Dio deve essere cantato con Amore e Fede; allora , le vaasanas (tendenze nascoste) abbandoneranno la mente automaticamente, senza alcuno sforzo.
Dio si manifesta al devoto quando egli si rivolge a lui piangendo, proprio come la madre fa con i suoi figli.
E’ perfettamente vero dire che la via più facile, più breve e più veloce per raggiungere Sai è la ripetizione del suo Dolce Nome, che rende immortali i mortali e tramuta l’uomo in Dio.
Ragazzi Miei! Il vostro dolce Sai è sempre con voi, in voi. Siate felici.”
Con Amore,
Il vostro Baba – 3.10.1977

(Tratto dal libro: “Prema Dhaara” – Una collezione di lettere di Sai Baba ai Suoi studenti- Edizioni Milesi)

Written by amaeguarisci in: Senza categoria |
Set
03
2014
1

I CAMBIAMENTI IN NOI

Bambini-giocano
Cari amici, voglio soffermarmi su alcuni cambiamenti che si verificano in noi man mano che prendiamo sempre più coscienza di chi siamo.
Più siamo consapevoli che facciamo parte del “Corpo di Dio”, che siamo uno con il Tutto, e più abbandoniamo certe abitudini, derivanti dal senso di separazione.
Non riusciamo più a trovare alcun interesse nel sentir parlare male di altri, né ci interessa più il pettegolezzo ed il gossip. Ogni volta che sentiamo parole di cattiveria e rabbia rivolte a qualcuno, ci sentiamo a disagio, feriti ; perché quelle parole, sappiamo a livello inconscio, sono rivolte a noi che siamo un tutt’uno con ogni persona.
Ogni volta che assistiamo ad una sofferenza, ad un disagio di un altro essere, sentiamo quella sofferenza e quel disagio in noi, per cui ci viene spontaneo far di tutto per alleviare quella pena.
Non ci interessano più certi argomenti e certi intrattenimenti che prima riempivano i nostri vuoti: i vuoti non ci sono più, la noia non esiste più.
Anche restare da soli in un cantuccio per tanto tempo non ci mette irrequietezza, anzi: è l’occasione per dedicare un po’ di tempo alla meditazione, al contatto con il nostro Sé, alla creatività artistica, alla preghiera, all’introspezione, alla visualizzazione di tutto ciò che ci piacerebbe fare ed avere.
Andiamo a far shopping al centro commerciale o al mercato, ma non ci interessano più le marche, i prezzi, i paragoni, forse anche la qualità della merce: prendiamo istintivamente la cosa che più ci attrae e, a volte, è anche la più economica. Non siamo più tanto bravi negli acquisti, semplicemente perché diamo loro meno importanza e quindi dedichiamo ad essi meno tempo ed energie.
Non ci preoccupiamo più del futuro, non siamo più apprensivi: sappiamo che avremo sempre ciò che è giusto per noi, che attiriamo tutto ciò su cui ci soffermiamo e, quindi, siamo portati ad essere sempre più ottimisti. Il nostro ottimismo viene scambiato per stoltezza, ignoranza od ingenuità: ma è semplicemente fede e fiducia totale nel piano Divino.
Torniamo sempre più bambini: viviamo pienamente il momento presente, senza preoccuparci per il prima ed il dopo. Scherziamo, siamo ironici, pur giocando seriamente il nostro gioco . Siamo consapevoli che stiamo giocando una partita, per questo non prendiamo troppo sul serio gli avvenimenti della nostra vita.
Siamo sempre più distaccati emotivamente dalle cose e dalle persone. Se i ladri entrano in casa e ci rubano tutti i nostri preziosi, non facciamo una piega: le vere perle sono dentro di noi e ne siamo consapevoli.
Se muore una persona cara, un amico, un cane, un vicino di casa… non siamo più disperati come gli altri. Ci fa soffrire molto la sofferenza che quell’anima ha dovuto sperimentare prima del volo; ci fa soffrire vedere gli altri cari piangere disperati, ma siamo felici per l’anima che, sappiamo, continua il suo viaggio dopo aver abbandonato le sofferenze fisiche.
Semplifichiamo sempre più la nostra vita: appuntamenti, relazioni, ed altri impegni, diventano meno pressanti. Non abbiamo più bisogno di riempire per forza ogni minuto del nostro tempo, come facevamo prima, per evitare di stare da soli con noi stessi e sentire emergere dal nostro profondo ciò che non andava.
Ci cibiamo in modo diverso. Cuciniamo piatti sempre più semplici , meno elaborati e mangiamo sempre più frutta e verdura crude. Sentiamo una spontanea repulsione per il cibo che deriva dalla sofferenza: quella inflitta agli animali dei quali, prima, riuscivamo a cibarci.
Siamo attratti dai posti pieni di energia vitale e rifuggiamo da tutti quelli intrisi di vibrazioni mentali antivitali, come l’ansia, la rabbia, l’ attaccamento, l’avidità, la concupiscenza, ecc.
Qualunque avvenimento accada riusciamo a mantenere uno buono stato di equanimità, nella consapevolezza che il disegno divino è sempre perfetto e ci porta al nostro massimo bene.
Proviamo un grande amore per tutte le creature: uomini, animali (compresi gli insetti), le piante, tutto il Pianeta e tutte le stelle. L’amore sgorga sempre, in un flusso continuo e a prescindere da tutto, semplicemente perché abbiamo tolto “il tappo” che prima impediva al nostro cuore di emanare ed espandere.
Siamo sempre più veri e sinceri. Le maschere non ci servono più. Non vogliamo più nascondere nulla, né le fragilità né i difetti: siamo trasparenti, gioiosamente trasparenti e veri. Fa niente se per la maggior parte della gente il nostro stato d’essere è incredibile e quindi falso: semplicemente siamo veri come i bambini e non inquadrabili, non etichettabili.
Diamo sempre più l’impressione di essere ingenui, un po’ incoscienti, magari un pò stupidi. Ma chi non si trova in questo stato d’essere non può comprendere l’intelligenza che viene dall’intuito profondo, che è diversa da quella puramente razionale.
Facciamo sempre più scelte di vita diverse dalla logica corrente, semplicemente perché la nostra scala di valori è completamente cambiata. Ciò che per la maggior parte della gente è molto importante, per noi non lo è più.
Il senso del dovere e del peccato non esistono più come macigni che incombono. Tutto viene fatto per soddisfare la voce interiore, con gioia e leggerezza. Serviamo gli altri donando non solo le cure materiali, ma donando la nostra energia, il nostro entusiasmo, il nostro ascolto, la nostra accettazione, la nostra pazienza, la nostra tolleranza, il nostro non giudizio, la nostra accoglienza, la nostra gioia, il nostro amore. Questo è il nostro modo spontaneo di servire.
Ci accettiamo e ci amiamo sempre più, perché sempre più riconosciamo il Divino in noi, che ha voluto fare un’esperienza di separazione , nella dualità del piano terrestre, per poi tornare alla ricongiunzione. Sappiamo che tutto il nostro passato, anche con i suoi errori ed i suoi traumi, ci è servito per arrivare al punto dove siamo oggi. Perdoniamo gli altri per ciò che hanno fatto e ci perdoniamo per le esperienze spiacevoli che non siamo riusciti ad evitare, e che ora, spontaneamente, non ripetiamo più. Siamo consapevoli di essere Scintille Divine e come tali onoriamo noi stessi e tutti gli altri.
Sono ancora tanti e tanti altri i cambiamenti che viviamo. La nostra natura è il cambiamento. Nulla è statico, neppure una pietra resta tale e quale.
Cari amici, ringraziamo con tutto il cuore il Maestro Spirituale che ci ha permesso di intraprendere il viaggio meraviglioso della vita con una nuova consapevolezza!

OM SRI SATHYA SAI BABAYA NAMAH

Written by amaeguarisci in: Senza categoria |
Set
01
2014
-

IL PICCOLO SAI BABA – L’ESORCISTA STREGONE

copertina IL PICCOLO SAI BABA
Ciao ragazzi! oggi riprendo le pubblicazioni, dopo la pausa estiva.
Vi propongo questo capitolo, tratto dal libro da me scritto: “Il Piccolo Si Baba” (Mother Sai Publications). che narra di come il Piccolo Sai superò le torture alle quali fu sottoposto, dando evidente prova della Sua Divinità. Il tempo era giunto per risvegliare la coscienza dei Suoi familiari sulla Sua Natura Divina. Tuffiamoci in questo racconto, con un pò di distacco emotivo, per non piangere. Vi abbraccio!

lo sono sempre in beatitudine.
lo sono l’Incarnazione della Beatitudine
Venite, prendete la beatitudine da Me,
e siate in pace.
Baba

Un carro trainato dai buoi fu fatto venire per trasportare il gruppo famigliare al paese di quel rinomato esorcista.
Ma i buoi non intendevano assolutamente muoversi! Venkappa Raju non era, però, disposto ad arrendersi. Sathya aveva provocato l’allontanamento degli altri esorcisti, solo per dare ai Suoi genitori indizi su indizi della Sua Divinità. E adesso bloccava i buoi, per dare a loro un’altra possibilità. Ma visto che non c’è cieco peggiore di chi non vuol vedere, portò avanti la commedia accettando la volontà dei genitori. Disse ai buoi: “Va bene, muovetevi”. Immediatamente il carro si mosse, ma neanche allora i genitori, benché avessero intuito che il carro era stato mosso dalla volontà del Figlioletto, seppero afferrare la Realtà di Sathya. Egli continuò ad operare portenti per dar loro l’occasione di cambiare spontaneamente idea; ma essi continuarono a non voler capire.

Finalmente arrivarono. La sola vista di quell’esorcista incuteva terrore. Era enorme e sembrava un orco. I suoi occhi fiammeggiavano come tizzoni ardenti.
Nella sua ostinazione a non voler capire, Venkappa consegnò il Figlio Prediletto al terribile mostro.
Questi iniziò a scongiurare il demonio, recitando tutte le formule magiche con una voce gracchiante che faceva raggelare il sangue.
Nonostante le ripetute cantilene, non sembrava, però, che lo spirito ne fosse turbato.
Questa volta Sathya non scacciò I’esorcista. Aveva infatti deciso di mostrare al mondo la Sua Infinita Pazienza Divina, assoggettandosi a tutte le atroci torture che quel folle volle infliggerGli.

Egli iniziò a frustare il Ragazzo. I genitori erano inebetiti dal dolore, ma Sathya superò il terribile trattamento senza un lamento. L’esorcista, testimone della sovrumana compostezza del Ragazzino, continuò ancora più inferocito ad inveire su quell’Esile Corpo, senza distinguere fra il diabolico e il divino.
“Basta! Basta! Per carità!”, supplicò Iswaramma che non sopportava la scena. Ma lo stregone, nella sua ostinazione e nel suo orgoglio, voleva vincere a tutti i costi la battaglia contro lo spirito maligno.
“Non posso abbandonare il Ragazzo, è un problema fra me e lo spirito!”.
I famigliari, impotenti, rimasero a guardare ammutoliti.

L’esorcista Gli rase i capelli; poi, con uno scalpello, incise una “X” su quel capo ancora tenero, trattandolo come se fosse stato di pietra.
Venkappa tremò e chiuse gli occhi, incapace di sostenere quella visione. Il tormento della Madre era indescrivibile. Sathya, Oceano Infinito di Maestosa Serenità, rimase immobile, assolutamente tranquillo.
L’aguzzino manovrò ancora lo scalpello sul Suo cranio e vi incise altre due “X”.
Sathya sembrava la Pazienza Impersonificata. Il sangue sgorgò a fiotti dalle tre incisioni. Lo stregone, dopo aver asciugato le ferite, vi versò una sostanza caustica a base di calce, succhi acidi e sale.
Mentre i genitori piangevano, Sathya continuò a mantenersi perfettamente calmo. L’esorcista cominciava a perdere la sua sicurezza, ma cercò di nascondere abilmente il fallimento dei suoi sforzi. “Ora sarà sufficiente versarGli sul capo, ogni mattina, per una settimana, centootto brocche di acqua fredda”.
I genitori pensarono: “Perché una settimana? Non basterebbe un solo giorno di trattamento così terribile sulle ferite fresche?”. Ma, impauriti, non si permisero di aprir bocca.
Sathya, che più non aveva i Suoi morbidi riccioli, si “godette” una settimana di docce fredde sulla testa.

Anche alla fine di questa cura, lo spirito maligno non se ne era andato. L’arsenale dello stregone era ormai agli sgoccioli. Questi era sempre più furente, perché il demone si prendeva gioco di lui. Allora lo stregone percosse il Ragazzo alle giunture con un pesante bastone, per snidare quella che definiva “la febbre del cervo”, quando Sathya si muoveva e “la febbre della pietra”, quando stava fermo.
Infine decise di usare la sua arma strategica. Se c’è una scienza della tortura, la sua migliore trovata è senza dubbio una pomata cauterizzante chiamata kalikam: una mistura di tutti gli “abracadabra” acidi del repertorio della tortura.
L’applicò sugli occhi di Sathya. I genitori inorridirono nell’osservarne le conseguenze: il viso e la testa si gonfiarono. Quel Volto Incantevole divenne irriconoscibile, rosso al punto che la sensazione di calore poteva essere percepita anche da chi Gli si avvicinava.
Tremante in tutte le membra, Sathya versava torrenti di lacrime, ma neppure un lamento uscì dalle Sue labbra.
Può darsi che per Sathya sia stata una commedia, ma per i Suoi parenti fu una tragedia. Non reggevano più alla vista del Caro Volto cosi tumefatto.

“Il demone, ora, non può più sfuggire ai miei artigli. Non preoccupatevi più.”, disse lo stregone e usci.
L’angoscia di Iswaramma esplose in singhiozzi, mentre gemeva: “Mio caro Sathya! Noi stessi siamo diventati i Tuoi carnefici!”. Il padre, in lacrime, annuiva.
Sathya, incurante del dolore, non riuscì a sopportare la sofferenza di quelle due anime tormentate dal senso di colpa. Sollevando la mano in un gesto di conforto disse: “Non piangete! Vi prego non piangete!”. Poi disse loro di portarGli il succo di un’erba che cresce vicino ai mucchi di letame.
Qui continua la commedia. Perché l’estratto di erbe quando sarebbe bastato un atto della Sua Volontà per mandare ad effetto la Sua guarigione?
Sathya si spalmò il rimedio sugli occhi: subito le palpebre si aprirono ed il gonfiore sparì, per incanto, immediatamente. I genitori trassero un profondo sospiro di sollievo.

Lo stregone era fuori di sé per l’ingerenza nel normale corso della “sua terapia”. Scalpitò e andò su tutte le furie come un animale selvaggio che si è lasciato sfuggire la preda. “Ero a un centimetro da traguardo!”, ruggì.
I genitori volevano salvare Sathya dalle fauci di quel demone; avevano visto e sofferto abbastanza. Lo compensarono lautamente, gli fecero anche dei regali non richiesti, purché la “belva” li lasciasse tornare a casa.
Così la spuntarono! Il carro si allontanò da quella “casa degli orrori” e raggiunsero Puttaparthi.

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